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Secondo Platone, "conoscere" è "ricordare". Spesso i ricordi si tramutano in nostalgia. Nostalgia è una parola formata dal prefisso nostos, che vuol dire "ritorno" e dal suffisso algìa, ovvero "voce". Si tratta, quindi, di una designazione istituita per definire una patologia, una malattia che colpiva, spesso, i soldati svizzeri, quando questi venivano destinati presso guarnigioni straniere. E poi, in seguito, da patologia, con il passare delle epoche, è stata trasformata in un sentimento. Ma va comunque ricordato come l'origine della nostalgia moderna e della parola "nostalgia" sia un'origine medica, clinica. Infatti, per due secoli circa, fino ai primi anni dell'Ottocento, la nostalgia è stata studiata come malattia. Diciamo che è nostalgico anche l'eroe classico del nostos, del mito del ritorno, per antonomasia, ovvero Ulisse.

Nostalgia è quel sentimento che noi, di NWSE, vogliamo che proviate ogni qualvolta ...... tornate a casa ........

La  Saharite

La saharite, è un'indisposizione tipicamente sahariana

Così si definisce la tendenza a litigare con il prossimo che dopo qualche giorno colpisce chi viaggia nel deserto, ma non solo. Il clima duro, il calore spesso opprimente e inadatto per gli organismi europei, la fatica snervante, l'abbrutimento a cui portano certe giornate di gran vento, la tensione nervosa conseguenza di troppe tappe in condizioni difficili, la mancanza di alcune comodità, un guasto meccanico o un banale errore di navigazione provocano scontri o scatti d'ira o, peggio, interminabili discussioni che hanno come risultato: … NIENTE . Il fenomeno si traduce in una grande irritabilità: la minima contrarietà provoca parolacce o affermazioni inconsuete, le suscettibilità si impennano e portano a volte a risposte violente o persino a decisioni reversibili. A quanto pare, vi è anche una spiegazione di ordine fisico: ne sarebbe responsabile l'aria particolarmente satura di elettricità. La “saharite”, come i temporali del Sahara, è caratterizzata da violente e improvvise crisi per niente preannunciate, ma che la maggior parte delle volte scompaiono senza lasciare traccia. Ci sono probabilmente pochi luoghi accessibili sulla faccia della terra dove i soldi contino meno che nel Sahara per procurare agi. E' sempre possibile trovare qualcosa di piatto su cui distendersi, qualche cima di rapa alla sabbia, pasta marmellata, e un po' di tendini di qualcosa che chiamano eufemisticamente pollo da mangiare e un mozzicone di candela per svestirsi la sera. Dal momento che e' necessario portarsi dietro cibo e fornello, talvolta sembra che non valga neppure la pena di prendere in considerazione i “pasti” offerti dagli alberghi. Ma, d'altra parte, i prodotti in scatola finiscono sempre troppo in fretta. Prima o poi sparisce tutto - caffè tè zucchero e il viaggiatore si adatta a una vita priva di questi piaceri superflui, usando di notte un mucchio di vestiti sporchi per cuscino e un burnus per coperta. Forse a questo punto la domanda logica da fare è: perché andarci? La risposta è che una volta che un uomo è stato là e ha vissuto il battesimo della solitudine, non può farne a meno. Una volta preda dell'incantesimo dello sconfinato, luminoso, muto paese, nessun luogo è per lui abbastanza intenso, nessun altro paesaggio può fornirgli la sensazione estremamente appagante di esistere nel mezzo di qualcosa di assoluto. Ci tornerà, a costo di qualunque spesa e di qualunque disagio, poiché l'assoluto non ha prezzo.